3 giugno 2008


Le scimmie controllano un braccio di un robot col pensiero

Due scimmie con minuscoli sensori nei loro cervelli hanno imparato a controllare un braccio meccanico con il sol pensiero, utilizzandolo per prendere o afferrare del cibo e persino per regolare la dimensione e la viscosità dei morsi quando necessario, hanno riportato gli scienziati mercoledì.

Il rapporto, reso pubblico on line dalla rivista scientifica “Nature”, è la più sorprendente dimostrazione dell’attuale tecnologia dell’interfaccia della macchina-cervello. Ci si aspetta che la tecnologia permetterà alla fine agli individui affetti da patologie al midollo spinale o da altre patalogie paralizzanti, di avere più controllo sulle loro vite.

I risultati indicano che le protesi controllate dal cervello, sebbene non pratiche, sono perlomeno tecnicamente a portata di mano.

Negli studi precedenti, era stato dimostrato che gli esseri umani che erano stati paralizzati per anni potevano apprendere a controllare un cursore sullo schermo di un computer con le loro onde celebrali e i primati non umani potevano usare i loro pensieri per spostare un braccio meccanico, una mano robotica, un robot su un tapis roulant o un piccolo veicolo.

L’ultimo esperimento si spinge un po’ oltre. I cervelli delle scimmie sembrano abbiano adottato il loro annesso come se fosse il loro, affinando i movimenti come se interagisse realmente con gli oggetti. Le scimmie avevano il loro braccio lievemente frenato mentre apprendevano ad utilizzare quello aggiuntivo.

Gli esperti non coinvolti nell’esperimento, dichiararono che i risultati stavano probabilmente accelerando l’interesse nella sperimentazione sugli essere umani, dato in particolar modo dal bisogno di curare lesioni al capo e alla colonna vertebrale ai veterani di guerra tornati dall’Iraq e dall’Afghanistan.

“Questo studio davvero mette assieme tutti i pezzi dell’attività originaria e fornisce una chiara dimostrazione di ciò che sia possibile” ha dichiarato il dott. William Heetderks, direttore del programma libero di scienze al “National Institute of Biomedical Imaging and Bioengineering.”

Il dott. John Donoghue, direttore dell’Istituto di Scienze del Cervello alla Brown University, ha dichiarato che il nuovo rapporto “ è stato importante perché è lo studio più esauriente che mostri come un animale interagisce con gli oggetti complessi, usando solo l’attività cerebrale.”

I ricercatori, dell’Università di Pittsburgh e della Carnegie Mellon University, hanno impiegato le scimmie in parte per le loro anomalie anatomiche con gli esseri umani e in parte perché imparano velocemente.

Nell’esperimento, due macachi prima usavano un joystick per acquisire contatto con il braccio, il quale aveva delle giunture alla spalla, il gomito e una tenace zampa con due unghie meccaniche.

Inoltre, proprio sotto i crani delle scimmie, gli studiosi avevano installato una griglia pressappoco delle dimensioni di una grande lentiggine. Era appoggiata sulla corteccia motoria, su una zona di cellule preposte ai movimenti del braccio e a quelli della mano. La griglia conteneva 100 minuscoli elettrodi, ognuno dei quali collegato a un singolo neurone, i cui fili scorrevano al di fuori del cervello e si collegavano a un computer.

Il computer era programmato per analizzare la collettiva attivazione di questi 100 neutroni motori, tradurre la somma in un comando elettronico e mandarlo istantaneamente al braccio, il quale era montato direttamente sulla spalla sinistra.

I ricercatori hanno usato il computer per aiutare le scimmie a muovere il braccio in primo luogo, essenzialmente insegnando loro un biofeedback.

Dopo diversi giorni, le scimmie non avevano più bisogno di aiuto. Stavano sedute ferme sulla sedia e manipolavano ripetutamente il braccio tramite il loro cervello per prendere e afferrare dell’uva, dei dolcetti o delle altre noccioline che ciondolavano di fronte a loro. Gli snack raggiungevano la loro bocca i due terzi delle volte – una percentuale impressionante se paragonata ai lavori precedenti.

Le scimmie impararono a tenere la griglia aperta quando si avvicinavano a del cibo, a chiuderla giusto il necessario per trattenere il cibo e a allentare gradualmente la griglia durante la masticazione.

In svariate occasioni, una scimmia teneva la zampa aperta al ritorno, con il cibo bloccato in un dito. In altre occasioni, una scimmia aveva mosso il braccio per leccare le dita o per spingere un po’ di cibo nella bocca ignorando un nuovo morso che si prospettava.

Gli animali erano apparentemente autonomi, scoprendo nuovi utilizzi per il braccio, mostrando “delle dimostrazioni di inclusione che mai si vedrebbero nell’ambiente reale”, hanno scritto gli studiosi.

“Nel mondo reale le cose non funzionano come ci si aspetta,” ha dichiarato il professore autore dell’articolo scientifico, il dott. Andrew Schwartz, professore di neurobiologia all’Università di Pittsburgh. “I dolcetti si attaccano alla mano o il cibo scivola, e non si può più programmare un computer di anticipare tutto ciò.

“Ma i cervelli delle scimmie si adattavano. Leccavano i dolcetti dall’artiglio protesico, spingevano il cibo nella bocca, come se fosse la loro stessa mano.”

I coautori sono stati Velliste, Sagi Perel, M. Chance Spalding e Andrew Whitford.

Si devono chiarire diverse difficoltà prima che tale tecnologia diventi pratica, dicono gli esperti. Le griglie di elettrodi installabili non durano generalmente più di alcuni mesi, per ragioni che rimangono sconosciute.

Lo staff per leggere e trasmettere il segnale può essere ingombrante e può avere bisogno di continuo monitoraggio e ricalibraggio. E nessuno ha ancora dimostrato un sistema senza fili funzionante che eliminerebbe l’esigenza di connessione al cuoio capelluto.

Tuttavia il team di Schwartz, il gruppo di Donoghue ed altri stanno lavorando a tutti questi problemi, e la rapida curva di apprendimento dei due macachi nel prendere consapevolezza di un arto esterno, dà fiducia agli scienziati che i principali ostacoli sono di natura tecnica, e quindi negoziabili.

In un editoriale che accompagna lo studio di “Nature”, il dott. John Kalaska, neuroscienziato all’Università di Montreal, ha sostenuto che dopo che questi difetti fossero stati risolti, si sarebbero potute scoprire aree della corteccia che permetterebbero un controllo più intimo e sottile dei dispositivi protesici.

Tali sistemi “permetterebbero ai pazienti con gravi deficit motori di interagire e comunicare con il mondo non solo nel preciso momento del controllo del moto attuato dal dispositivo robotico, ma anche in una maniera più naturale e intuitiva che rifletta i loro obiettivi, i loro bisogni e le loro preferenze generali.”, ha scritto Kalaska.

Articolo originale: Monkeys control a robot arm with thoughts
Traduzione a cura di Rita Pastore
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