5 gennaio 2012


Autonomi

L’italiano è una lingua meravigliosa, una sola parola, mille significati. Oggi la parola autonomi è molto utilizzata per descrivere lo stato di particolare desolazione che stanno vivendo i commercianti e i negozianti di bottega. Ogni giorno in Italia chiudono la serranda quasi duecento famiglie, ad un ritmo così sostenuto che nel 2011 più di uno su tre ha abbandonato l’attività. In termini pratici significa molti posti di lavoro in meno, molto meno benessere e distribuzione di ricchezza per ognuno di noi. Tuttavia malgrado questa diaspora crescente, continua il boom dei mega centri commerciali e megastore assiepati uno vicino all’altro, che se pur comodi devo ammetterlo, non avranno mai il fascino e la competenza di chi ha investito una vita, a volte più di una generazione, in qualcosa che ha costruito da zero. Non parlo di chi dal nulla è diventato miliardario, parlo anche dei piccoli imprenditori che hanno scommesso su qualcosa che potesse essere innovativo ed originale, in un mondo che schiaccia qualsiasi tipo di spinta individuale positiva. Tutto deve rientrare nei canoni del conformismo “made in usa”.

Produci, consuma e crepa.

Mega luci e mega schermi in zone asettiche molto lontane dalle realtà residenziali, luoghi ameni nei quali ormai è abitudine incontrare automi simili a noi che camminano trascinando un carrello per lo più vuoto. Perché la differenza fra un centro commerciale e l’altro è solo la sua posizione di comodo rispetto alla propria abitazione, per quanto riguarda il servizio e la competenza è pari ad un catalogo Ikea. Tornando al discorso degli autonomi la grande tristezza di questo momento riguarda la perdita di un sogno che un Paese come l’Italia aveva per anni coltivato. La possibilità di creare lavoro, risorse e benessere senza doversi adeguare al padrone di turno, senza dover sottostare alle leggi del consumismo sfrenato, magari privilegiando il servizio e la qualità, piuttosto che la massificazione delle merci. Un sogno che oggi si infrange sulle famiglie che stanno perdendo, oltre al lavoro, la dignità di essere ancora parte di uno Stato democratico. Non ha senso parlare di multinazionali e corporazioni, ne dei motivi di tutta questa grande depressione, in fin dei conti è un processo ormai innescato e che nessuno di noi può arrestare. Possiamo disquisire sulla qualità delle scelte che noi operiamo ogni giorno, di quello che è più giusto fare o non fare per garantire un equilibrio che dovrebbe avere al suo centro il rispetto.

Al crollo degli autonomi si moltiplicheranno ancora di più i grandi investimenti di mega tonnellate di cemento per aggregare le persone ed abituarle a vivere una realtà più simile ad una gabbia comune, piuttosto che ad una realtà a misura d’uomo. Se oggi la risposta al lavoro fosse realmente la dislocazione delle risorse e i mega agglomerati commerciali, sarei il primo a tacere, ma in nessun caso questo sembra una soluzione adeguata al problema. Lo dicono i numeri, lo dicono le persone sempre più sole ed alienate, sempre più soggette a forti scariche di stress miste a momenti di apatica tristezza. L’era dei robot-umani sta per essere proposta come modello innovativo di vita, un modello che non ha nulla a che vedere con il concetto di uomo così come è stato pensato e creato. Insieme alla vita reale ormai prossima alla miseria, stiamo distruggendo ogni sogno che una volta era alla base delle prospettive dell’uomo.